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5 luglio 2016

INTERVISTA - Mario Ferraro e Diario dell’Umanità

Carissimi lettori, nuova intervista, è su Peccati di Penna: Mario Ferraro con Diario dell’Umanità.

Mario Ferraro, nato a Napoli nel 1999, è un giovane scrittore, nonché musicista e blogger italiano. Sin da bambino coltiva ben cinque passioni: la scrittura creativa, la musica, la matematica, le scienze naturali e l’epistemologia. Appassionato della letteratura inglese e di quella italiana, si cimenta nella stesura di racconti brevi a soli dieci anni, per poi perfezionare la sua attitudine con uno studio più approfondito di narratologia. A dodici anni è già redattore d’interviste per il suo blog, Musica nelle stagioni, occasione che gli consentirà di confrontarsi con personalità di spicco nel mondo dello spettacolo, traendone insegnamenti di grande importanza per la sua crescita intellettiva. Il suo pensiero abbraccia dottrine come: il cosmopolitismo, non concependo l’esistenza di barriere di alcun tipo; la filantropia, quale mezzo per costruire una pace perpetua; il panteismo, rivisto sotto una nuova luce.


Benvenuto su Peccati di Penna, Mario Ferraro! Quando hai scoperto la passione per la scrittura?
La scrittura o, ancor meglio, l’arte dello storytelling è stata sempre una virtù connaturata in me. Quando ero un infante, mia madre con pazienza mi raccontava le “Favole al telefono” di Gianni Rodari, un affabulatore tuttora insostituibile. D’altronde la letteratura fantastica mi ha sempre affascinato, perché crea dimensioni alternative alla realtà, come accade allorché ci si accinge a leggere capolavori del calibro di “Harry Potter” e de “Il Castello dei destini incrociati” di Italo Calvino. Con la maturazione degli studi, ho scoperto che ben altri generi inerenti alla fiction condividono tali caratteristiche. Così sono approdato ai romanzi di natura introspettiva, tra i quali annovero “La ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust e “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo, che mi hanno aiutato a implementare nuove tecniche narratologiche, consolidando l’impianto narrativo dei miei embrionali esperimenti di scrittura.

Qual è stato il tuo primo testo?
Avevo nove anni quando mi cimentai per la prima volta nella stesura di un testo. Ricordo ancora il nome: Amberte e la casa dei fantasmi. Lo permeai di elementi fantastici e soprattutto di suspense, perché l’idea era quella di scrivere una ghost story, pur non riuscendoci; per di più, di quel file non è rimasta traccia, e di questo mi rammarico. Nondimeno quel libro mi infuse la dose giusta di entusiasmo per alimentare la mia passione, che andava crescendo di giorno in giorno. Pur non avendo consapevolezza a quel tempo che la scrittura richiede impegno e molto studio, sapevo che la mia ingenua produzione letteraria era deficitaria. Di qui cominciarono gli studi dei quali ancora oggi mi nutro, costatando che non sono un giovane scrittore, bensì un giovanissimo scrittore di soli diciassette anni. Ho fortificato la mia esperienza fondando nel 2011 un portale musicale, Musica nelle stagioni, che miete un discreto successo sul web. Basti pensare che nel 2012 il sito web sopraccitato mi ha dato l’opportunità di confrontarmi con artisti influenti nel panorama musicale internazionale mediante interviste da me redatte in inglese, tra questi: Julian Cochran, un noto pianista australiano che mi è stato molto d’ispirazione, e Judy Kang, la celebre violinista di Lady Gaga nel suo Monster Ball World Tour del 2011.

Quale genere letterario ti è più affine? Quale invece non riesci a leggere e/o a scrivere?
Ho una propensione naturale verso la narrativa letteraria, dunque sono in maggior misura incline ai saggi romanzati. La mia produzione scritta nasce per intrattenere e far riflettere a un tempo. Chi legge un libro di mia fattura, può dirsi mio lettore se ha recepito il messaggio sottinteso alla storia narrata. Osteggio i moralismi e le massime sedicenti che ne derivano, dal momento che il mio intento è quello di fornire al lettore una guida pragmatica per risolvere conflitti di matrice sociale e psicologica. Pertanto dalla mia penna esce soltanto ciò che esperisco in prima persona, contravvenendo a spiacevoli contraddizioni. Servendomi dell’idea di libro come strumento di denuncia sociale, mi è risultato astruso tradurre simili tematiche nel fantasy o in generi correlati, benché autori valenti di fantascienza distopica, come Philip K. Dick, hanno proiettato i problemi della loro epoca in scenari futuri. Tuttavia Diario dell’Umanità, il mio libro d’esordio, presenta un solo ingrediente fantastico cui non potevo rinunciare: un essere sovrannaturale, che, come un deus ex machina, riavvia l’azione laddove l’intreccio è troppo complesso. Ecco perché, dopotutto, definisco anche quest’ultima mia creazione una ghost story.

Come è stato il tuo percorso verso la pubblicazione?
È stato un iter lento e difficile come per gli altri esordienti. Il libro è nato quattro anni addietro, e quella pubblicata è la quarta stesura. Tra le fasi più impegnative sottolineo l’editing e la cura dell’incipit. Definisco quest’ultimo un bigliettino da visita che l’autore dà al suo potenziale lettore. A rallentare il processo di pubblicazione sono subentrati i miei scrupoli di perfezionismo, in modo particolare nella scelta stilistica e nella grammatica cui intendevo conformare il testo prodotto. Se paragonato alla composizione Smyrna di Elvio Cinna, che lo travagliò per ben 9 anni (il numero perfetto secondo Orazio) prima di concludere la pubblicazione, il mio libro non è nulla in confronto. Per fortuna, come recita Shakespeare in un’opera omonima, tutto è bene quel che finisce bene.

Come è nata l’idea di Diario dell’Umanità? Cosa ti ha ispirato?
Gli anni dieci del duemila contrassegnano negativamente l’umanità, perché tutt’oggi la nostra situazione politica e, di conseguenza, sociale è precaria e rischia il collasso. A chiosare ancor meglio il concetto è l’immagine resa emblema dell’uomo contemporaneo, una foto scattata a una vittima dell’attentato alle Twin Tower di New York nel 2001, che con una posa sorprendentemente elegante si sottrae alle fiamme ardenti il grattacielo. Ricordare, come si suol dire, aiuta a non dimenticare, eppure ancora oggi si ripercorrono gli stessi errori del passato. Anna Frank scrisse nel suo diario: «È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell'intima bontà dell'uomo che può sempre emergere». Queste ultime parole mi consentirono di concepire la missione demandata al mio libro d’esordio: commissionare non alle vittime delle ingiustizie, bensì a coloro che le hanno commesse la stesura di un diario nel quale poter parlare di sé senza - almeno si cerca - velature di ipocrisia. Non sono io a narrare, ma i miei personaggi, i cui pensieri spesso mi estraniano. La mia accezione di ricordare è quindi capire alle radici il male per non ripeterlo, fingendosi in un primo momento nemici dell’umanità in toto. Il successo di questo modo innovativo di approcciarsi a ciò che ci circonda dipenderà da Diario dell’Umanità.

Quanto c’è di te in questo testo?
Come si può desumere dalla risposta precedente, l’io narrante non vive in simbiosi con me, perché ha un vissuto diverso dal mio. Quando una storia s’impadronisce della tua mente, sono i personaggi con la loro psicologia a dirti come procedere; e credimi, non puoi disfartene, anche se a volte dissenti dal loro modo di pensare.

Hai mai affrontato il “blocco dello scrittore”? Come lo hai superato?
Scrivere è una vocazione. Se tutti fossimo in costante ricerca di qualcosa da narrare, non produrremmo niente. La stesura di un romanzo, piuttosto che di un saggio, è un processo spontaneo e non forzato, sicché il cosiddetto blocco dello scrittore si verifica allorquando non crediamo più in ciò che scriviamo. La magia muore, così come le parole divengono evanescenti.

Cosa vuoi comunicare con il tuo Diario dell’Umanità?
Voglio indurre i miei potenziali lettori a far luce su aspetti dell’umanità che col tempo sono stati tralasciati. La storia è il particolare, la vita rappresenta il generale, pertanto chi legge Diario dell’Umanità, dovrebbe essere in grado di applicare le riflessioni scaturite dalla lettura del libro in disparati ambiti della quotidianità. Molti capitoli del romanzo sono enigmatici e, forse, avrebbero bisogno più di una lettura per cogliere il vero significato di quanto è scritto. In tal senso ho investito molto sulla connotazione delle espressioni-chiave adoperate. Durante la realizzazione della veste tipografica del libro, ho invitato i grafici ad apporre l’icona di una chiave sulla terza di copertina, perché a lettura conclusa sarà possibile guardare il mondo con un altro paio di occhiali, come direbbe il celebre filosofo Immanuel Kant.

Cosa pensi del Self-Publishing?
Le piattaforme di Self-Publishing realizzano il tuo sogno nel cassetto, distribuendo l’elaborato in un mercato in via di sviluppo, che col tempo, constatato il progresso della digitalizzazione, prevaricherà sull’editoria tradizionale. Recenti statistiche riguardanti i report sulle vendite della celebre società americana Amazon, presso cui è avvenuta la pubblicazione del mio romanzo, hanno rivelato che più del 40% degli introiti proviene dai libri pubblicati da autori indipendenti, denominati in gergo inglese Indie Authors. Questo perché il grande pubblico preferisce avere un contatto più diretto con gli autori, con i quali spesso interagisce sui social network, senza intermediari. Difatti un libro autopubblicato instaura un dialogo incessante con i lettori, che arricchiscono la storia narrata di osservazioni e di prospettive inedite con l’ausilio dell’autore stesso. Ma se farsi pubblicare da qualcuno è difficile, autopubblicare un manoscritto è quasi impossibile, sebbene Amazon Publishing (editore digitale di Diario dell’Umanità) fornisca validi supporti.

Quali sono i tuoi progetti futuri?
Al momento i miei studi di narratologia e di narrativa italiana hanno la priorità. “Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio” di Italo Calvino ha profetizzato le nuove frontiere verso le quali dovremmo indirizzare la narrativa di genere. Allettante è la proposta di scrivere un iper-romanzo, che potremmo definire una sorta di meccanica quantistica della letteratura. Calvino è senza ombra di dubbio il matematico della letteratura combinatoria.

Grazie a Mario Ferraro per averci dedicato il suo tempo. In bocca al lupo e buona scrittura!

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